Psicoterapia cognitiva: Intervista a Giovanni Maria Ruggiero coaoutore con Sandra Sassaroli del libro di psicologia cognitiva: ” il colloquio in psicoterapia cognitiva teoria e pratica clinica” Sono Monica Dellupi, psicologa e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale e oggi vorrei intervistare il Dott. Giovanni Maria Ruggiero, psichiatra, psicoterapeuta e responsabile della ricerca presso Studi Cognitivi a Milano, il quale insieme a Sandra Sassaroli ha di recente terminato la sua ultima opera “Il colloquio in psicoterapia cognitiva”. Buonasera Dott. Giovanni Maria Ruggiero, da che cosa è nata l’idea di scrivere questo libro? Dal desiderio di fornire, di produrre un’opera che descrivesse in maniera chiara e comprensibile come si fa in maniera pratica la terapia cognitiva attraverso degli esempi comprensibili. Il libro si propone di fornire dei veri prototipi di frasi che il terapeuta potrebbe utilizzare con il paziente – le frasi sono evidenziate in grassetto-. Chiaramente questi prototipi di frase non vanno utilizzati meccanicamente, sono solo degli esempi, ma al tempo stesso danno un’idea concreta di che cosa occorre chiedere al paziente o, se non proprio occorre, che cosa si può chiedere al paziente. La terapia cognitiva è una terapia molto basata sulle domande, siamo attivi ma non diamo spiegazioni, facciamo molte domande per incoraggiare il paziente a ragionare sui suoi stati mentali, sulle sue sofferenze emotive attraverso molte domande Perché il titolo “Il colloquio in psicoterapia cognitiva – Tecnica e pratica clinica”? E’ un manuale, ma anche un po’ più flessibile di un manuale. Avremmo potuto chiamarlo “Manuale di psicoterapia cognitiva”, in modo da dare proprio l’idea di qualcosa che serve ad imparare; “il colloquio” invece dà l’idea che c’è un insegnamento pratico, ma non è così rigido. Spesso uno dei difetti dei manuali è dare l’illusione che si possa fare la terapia in 12 sedute o in 18, invece così è più una sorta di modello per un colloquio introduttivo, un colloquio di metà terapia, un colloquio di chiusura da utilizzare in base a quello di cui ha bisogno il paziente; alcuni effettivamente solo 12 sedute, altri 6 mesi, altri 1 anno o 2, questi sono i tempi tipici della terapia cognitiva. Il libro ha un taglio molto pratico; in che modo il libro cerca di descrivere come si fa terapia veramente in seduta? Questo l’ho già anticipato prima, ma la domanda mi consente di essere ancora più specifico: la psicoterapia cognitiva, in genere la psicoterapia, è uno stimolo ad incoraggiare il paziente a ragionare, a non dare per scontato che quello che pensa è vero solo perché gli passa per la testa. A questo punto però come fa il terapeuta a fare questa operazione? Alcuni allievi dicono: “e al paziente esattamente che cosa gli dico?” , una domanda forse un po’ ingenua; alcuni colleghi dicono: “non dobbiamo rispondere agli allievi, devono assimilare dei concetti e sviluppare una loro tecnica”. Io penso che è vero che non bisogna essere troppo meccanici, però dare alcuni esempi concreti, dei prototipi di domande evidenziati in grassetto, può essere un aiuto, poi è chiaro che l’allievo dovrà sviluppare, dovrà personalizzare la domanda a suo modo. Come funziona la psicoterapia cognitiva e quali sono le componenti di un colloquio in psicoterapia cognitiva? Nella psicoterapia cognitiva si dà più importanza rispetto ad altri orientamenti al cosiddetto pensiero cosciente, quello che pensi e che sai di pensare, quello che ti passa per la testa veramente; solo che spesso lo facciamo passare per la mente in maniera automatizzata, automatica e senza pensarci su, quindi diamo meno valore al cosiddetto inconscio, diamo più valore a quello che pensi consapevolmente. La terapia è: “sii più consapevole ancora di quello che pensi” e queste sono le domande che un terapeuta cognitivo fa: “in quel momento in cui lei aveva l’ansia, mentre stava andando a fare un esame, mentre stava andando a conoscere i genitori del suo fidanzato, oltre a sentirsi chiaramente a disagio, cosa pensava esattamente?”; può sembrare una domanda scontata, ma la persona, il paziente incoraggiato a riflettere per la prima volta può rendersi conto che le emozioni che prova non sono semplicemente delle sensazioni di sofferenza ingovernabile, ma dipendono molto da quello che pensa e può sentirle in maniera più funzionale – diciamo noi – , può gestirle in maniera più conveniente sapendo bene cosa pensa e cercando di pensare cose diverse I: In che senso è possibile dire che è scientificamente provato che la psicoterapia cognitiva funziona? E’ una domanda molto delicata: allora, la terapia cognitiva diciamo che è più facile dimostrare che sia scientifica, è più facile fare uno studio come si può fare con i farmaci, in cui si decide che in un numero definito di sedute per un disturbo ben determinato come l’ansia si può osservare una modifica chiara; diamo dei questionari con cui la persona valuta la propria ansia spontaneamente all’inizio, si fanno 12 o 18 sedute e si rivaluta tutto. Così come dei giudici esterni, fanno la stessa cosa, è quello che si fa anche con i farmaci. Questo non significa che le altre terapie non abbiano le loro basi scientifiche, però effettivamente quelle della terapia cognitiva sono più chiare, sono più solide, almeno per certi disturbi – disturbi d’ansia, disturbi alimentari, depressione Il libro affronta anche gli sviluppi successivi della terapia cognitiva; che cosa si intende quando si parla delle 3 fasi del cognitivismo? R: Allora, si intende: la fase iniziale è il cosiddetto comportamentismo, che era una corrente anche molto universitaria, molto accademica, in cui il trattamento era più di tipo pratico, con degli esercizi; per esempio se uno aveva l’ansia di spostarsi, di utilizzare l’automobile o di prendere i mezzi pubblici, molto banalmente si prescriveva di fare questi esercizi e il soggetto si abituava a queste situazioni stressanti. E’ una visione paradossalmente quasi anche cognitiva, non dava importanza a quello che si pensa, ma a stati mentali che venivano curati attraverso esercizi. La seconda ondata, la terapia cognitiva, è quella che abbiamo spiegato fin’ora, è l’importanza data a quello che pensi, quello che pensi mentre sei in metro e hai l’ansia. La terza ondata infine nasce, diciamo, da alcuni limiti, perché anche la terapia cognitiva non è perfetta; per esempio alcuni disturbi molto gravi, oppure uno stato emotivo di fortissima sofferenza, che non è facile governare semplicemente pensando quello che si pensa. Si parla dei cosiddetti disturbi di personalità, che sono persone con una forte impulsività, una forte tendenza a litigare con gli altri, ad avere reazioni aggressive, a rifugiarsi nell’uso di sostanze alcooliche o peggio, insomma in cui l’emotività è veramente altissima e allora si parla di terza ondata, in cui si prende atto che le emozioni non possono essere governate solo pensandoci su e si fanno tutta una serie di strategie che sono quasi neocomportamentali, più emotive, più attive, più concrete, in cui si danno di nuovo molti esercizi fuori dalla terapia oppure si fanno delle meditazioni. Insomma la terza ondata è più disomogenea della seconda, del cognitivismo, ed è molto lunga da spiegare; spero di aver dato un’idea molto vaga di quello che può essere. Cosa può imparare il cognitivismo clinico dalla ricerca di orientamento psicanalitico? In generale da tutti gli orientamenti in cui si dà meno importanza ai pensieri coscienti si può imparare che governare le proprie emozioni non è sempre così facile; più in concreto la risposta sarebbe molto lunga da dare ancora una volta, ma potrei dire ad esempio che dagli psicanalisti si può imparare molto su come regolare la relazione tra paziente e terapeuta. Dato che queste persone con una forte emotività di cui abbiamo parlato prima hanno difficoltà a stare in mezzo agli altri, a interagire e utiizzare le emozioni per comunicare con gli altri e non per rovinare tutto litigando spesso, gli psicanalisti effettivamente hanno sviluppato alcune tecniche in cui riflettono insieme al paziente su quello che sta accadendo tra loro in quel momento, in modo da capire “ecco, vede, questo è il suo stile con cui si mette in relazione con gli altri”. Poi anche questo potrebbe essere definito “cognitivo”, perché nel riflettere su “cosa stai pensando tu in questo momento, in rapporto a quello che io ti dico per cui ti innervosisci”. Alcuni psicanalisti l’hanno anche chiamata, per esempio alcuni allievi di Kerberg, un’esposizione in vivo alle tue difficoltà relazionali, esposizione cognitivo-comportamentale in vivo ai tuoi problemi dello stare con gli altri. Quali sono le linee di ricerca su questi nuovi sviluppi? Alcune sono principalmente dimostrare che il cambiamento emotivo non avviene soltanto pensando a cose diverse, ma anche paradossalmente per esempio accettando di pensare quello che si pensa; può sembrare un po’ paradossale, ma una persona per esempio molto portata ad arrabbiarsi con gli altri, ad essere permalosa per non dire paranoica come si dice tecnicamente, se quando pensa che gli altri ce l’abbaino con lei cerca di scacciare questo pensiero, di tenerselo in mente il meno possibile, tenderà proprio per questo a cercare di risolvere immediatamente la situazione difficile e quindi a litigare con gli altri. Se riuscisse invece a pensare: “in questo momento ho il pensiero che gli altri ce l’hanno con me” può sembrare strano, ma in realtà è una possibilità in più per non cominciare a tirare i piatti in faccia agli altri, perché lui sta pensando che ce l’hanno con lui, sta pensando di pensare che ce l’hanno con lui, non sta pensando “ce l’hanno con me, adesso mi arrabbio!” A chi consiglierebbe questo libro? E’ pensato apposta per gli allievi, tutte le persone che si stanno formando in psicoterapia cognitiva; non c’era ancora un esempio italiano di un manuale al tempo stesso molto pratico e molto flessibile, c’erano degli ottimi manuali di provenienza americana che a loro modo erano troppo schematici e in ogni caso, essendo americani, non descrivevano come operano i maggiori psicoterapeuti italiani. In questo libro non solo c’è una descrizione di come operano gli psicoterapeuti italiani, ma anche come presumibilmente operano Sandra Sassaroli, Giovanni Liotti, Francesco Mancini, Antonio Semerari, Giancarlo Dimaggio, insomma tutti quelli che possono essere considerati i maggiori terapeuti cognitivi italiani in questo momento. Secondo l’esperienza clinica e di ricerca, per Giovanni Maria Ruggiero qual è la direzione che sta prendendo il cognitivismo oggi in Italia e all’estero? La direzione è questa terza ondata, cioè sviluppare nuove tecniche alternative, no, non alternative, in aggiunta a quelle cognitive classiche in cui si cerca, si impara, si è incoraggiati a governare le proprie emozioni pensando ma anche facendo altre cose, tendenzialmente due: una più neocomportamentale, cioè fare delle cose, imparare per esempio a governare la rabbia, imparare a scusarsi dopo che si ha esagerato con un attacco di rabbia; spesso queste persone sofferenti esagerano con le scuse, le fanno in maniera, diciamo così, non efficace. Oppure dall’altra parte sviluppando tecniche di meditazione, la cosiddetta mindfullness, con cui si impara a stare nei propri pensieri più dolorosi; quindi più comportamenti, più meditazione oltre il colloquio classico di terapia cognitiva sui pensieri che ci riempiono la testa di sofferenza.
In questa pagina troverete un’interessante video-intervista al Dott. Giovanni Maria Ruggiero , coautore del libro di recente pubblicazione: “Il colloquio in psicoterapia cognitiva. Teoria e pratica clinica “, Edizioni Cortina, scritto insieme alla Dott.ssa Sandra Sassaroli , direttrice di Studi Cognitivi.
Il libro comprende moltissimi esempi utili a illustrare la natura e le modalità del colloquio in psicoterapia cognitiva . Inoltre l’idea degli autori è stata quella di spiegare non solo le modalità di tecnica terapeutica , ma anche frasi e interventi così come vengono detti ai pazienti in seduta . Le frasi prototipiche degli interventi terapeutici sono poi evidenziate in grassetto e incorniciate in box che catturano l’attenzione del terapeuta. Questo rende il volume chiaro, esplicito e comprensibile e permette al lettore di disporre di uno strumento da consultare.
In questa intervista condotta dalla Dott.ssa Monica Dellupi presso la sede di Saronno di Centro Cognitivo il Dott. Giovanni Maria Ruggiero fornisce spunti di riflessioni per quanti siano interessati ad approfondire le tematiche relative alla psicoterapia cognitiva rispondendo a dieci domande sul libro, offrendo così spunti teorici sia sulle tematiche relative a questa pubblicazione sia sull’evolversi della psicoterapia cognitiva stessa.