Molto di ciò che oggi conosciamo sui disturbi dell’umore era già stato descritto dagli antichi greci e romani, per i quali il concetto di salute e malattia era basato sull’armonia e sull’equilibrio di quattro umori: collerico, flemmatico, melanconico e sanguigno, che era ritenuto il più salutare.
Oltre 2.000 anni fa queste grandi culture avevano dunque ben individuato il così detto “temperamento melanconico”, dominato dalla bile nera che predispone alla melanconia patologica, descritto come caratterizzato da letargia, ritrosia, portato alle meditazioni tristi o alla contemplazione; la sua controparte moderna è il disturbo di personalità depressivo e la distimia.
Ippocrate (460-357 a.C.) descrive la melancolia (“bile nera”) come uno stato di “avversione al cibo, abbattimento, insonnia, irritabilità (e) inquietudine”. I medici greci postularono la prima ipotesi biochimica dei disturbi mentali: essi ritenevano che la malattia nascesse da un substrato temperamentale cupo e melanconico, il quale, sotto l’influenza del pianeta Saturno, porta la milza a secernere la bile nera che, infine, incupisce l’umore attraverso la sua azione sul cervello. Uno degli aforismi ippocratici sottolineava inoltre lo stretto legame tra ansia e stati depressivi: “I pazienti con una paura…di vecchia data, sono soggetti alla melanconia”.
La medicina greco-romana oltre a una “melancolia naturale”, con una predisposizione innata a produrre in eccesso l’umor nero che conduce a più gravi forme di malattia, individua dei contributi non-naturali allo sviluppo della melanconia, quali una smoderata assunzione di vino, perturbazioni dell’animo dovute alle passioni (per esempio l’amore) e un ciclo del sonno disturbato.
Il primo testo interamente dedicato ai disturbi affettivi è stato l’”Anatomia della melanconia” di Robert Burton (1621). Il concetto di disturbo affettivo di Burton è ampio e comprende sia i disturbi dell’umore che molti dei disturbi oggi chiamati somatoformi, l’autore parla di una melanconia ”senza causa apparente” e di diverse forme di afflizione e melanconia amorosa.
Nonostante Celso (30 d.C.) avesse già descritto forme di pazzia non lontane dalla depressione, è il francese Jean Philippe Esquirol (1772-1840) ad essere ritenuto il primo psichiatra dell’era moderna a suggerire che un disturbo primario dell’umore può costituire il fondamento di molte forme di depressione e di correlate psicosi paranoidi, mentre prima la melancolia veniva classificata come una forma di pazzia dovuta ad uno squilibrio della ragione e a disturbi del pensiero. Esquirol coniò poi il termine “lipomania” (dal greco “follia piena di dolore”) per conferire una certa dignità nosologica ai disturbi melanconici di origine affettiva. Tuttavia fu Benjamin Rush (1745-1813) il primo a descrivere la 2tristimania”, una forma di melanconia nella quale predomina la tristezza.
Dott.Michele Rossi
Centro Cognitivo Saronno