Alcuni ricercatori del “Douglas Mental Health University Istitute” (Canada)hanno recentemente messo a punto uno studio in cui non solo si avvalora la tesi – già sostenuta da tempo da altri studiosi – che nascere e
crescere in città di grandi dimensioni predisponga a sperimentare livelli
maggiori di ansia e patologie ad essa correlate rispetto a chi vive in zone
rurali, ma ne hanno anche evidenziato il substrato biologico.
Lo studio ha utilizzato un campione di volontari che non avevano patologie di
alcun genere diagnosticate, provenienti in parte da grandi città e in parte da
aree rurali, e li ha sottoposti a Risonanza Magnetica per studiarne l’attività
cerebrale; i risultati della ricerca dicono che nei “cittadini” si riscontra che l’amigdala, la parte del nostro cervello coinvolta nella gestione delle emozioni e nella regolazione dell’umore, ha una maggiore sensibilità agli stimoli stressogeni.
In questa situazione anche stimoli che in condizioni normali rimarrebbero
sottosoglia, possono attivare una risposta di ansia, associata a una
valutazione cognitiva dell’evento come potenzialmente “pericoloso”, che rende
reattivo l’organismo sia dal punto di vista fisiologico che psicologico; la
risposta di stress diventa quindi cronica e l’ansia tende a diventare una
risposta costante anche in situazioni che non comportano reale pericolo o
minaccia all’incolumità dell’individuo, mantenendo uno stato continuo di
tensione con una conseguente riduzione del benessere.
Se sugli stimoli stressogeni della vita in città non possiamo intervenire
in modo efficace, molto si può fare per gestire l’ansia che questi stimoli
attivano, lavorando sulla componente cognitiva che percepisce e valuta certi
eventi come pericolosi, interrompendo cicli di pensieri automatici che portano invariabilmente a un’attivazione ansiosa, potenziando il senso di autoefficacia e di controllo in certe situazioni.
Dott.ssa Elisa Morosi, Psicologa di Centro Cognitivo Saronno