Il 1° dicembre 2011 si è svolto a Roma un convegno indetto da AIDAP (Associazione Italiana Disturbi dell’Alimentazione e del Peso) sul tema “Trattamento dei disturbi dell’alimentazione: progressi e sfide future”, durante il quale sono stati presentati i dati di uno studio durato 7 anni e avviato da Villa Garda (Casa di cura per DCA)e dalle Università di Oxford e Leicester che dimostrano una rilevante percentuale di miglioramenti significativi in pazienti con DCA grazie all’applicazione della terapia cognitivo – comportamentale per il trattamento dei disturbi alimentari (in particolare anoressia e bulimia nervosa), associata ad un intervento riabilitativo tempestivo.
Al termine della sperimentazione è emerso che il 64% del campione ha completato la terapia, raggiungendo un peso nella norma e risolvendo il problema comportamentale legato al cibo.
Non è questa la prima volta che la terapia cognitivo – comportamentale si dimostra la più efficace nel trattamento dei disturbi alimentari, infatti la CBT– BN (Terapia Cognitivo – Comportamentale per la Bulimia Nervosa), ideata all’inizio degli anni ’80, ha una raccomandazione di Grado A per la bulimia nervosa e il disturbo da alimentazione incontrollata; una recente revisione di questo protocollo di trattamento (CBT – E) l’ha reso ancora più efficace e adatto a curare tutte le categorie diagnostiche dei disturbi dell’alimentazione (anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati). I dati preliminari che stanno emergendo indicano un tasso di remissione dei sintomi nel 60% di chi completa il trattamento e i cambiamento osservati (normalizzazione del peso e riduzione dell’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo) sembrano ben mantenuti anche dopo la conclusione del trattamento.
Proprio per le sue caratteristiche di intervento, la terapia cognitivo – comportamentale sembra la più efficace anche per far recedere tutta la costellazione di sintomi correlati al disturbo alimentare in senso stretto: per fare un esempio, in queste persone, generalmente, c’è una necessità molto forte di avere un rimando dall’ambiente esterno per comprendere ciò che sta succedendo dentro di loro, avendo una grossa difficoltà a definirsi attraverso propri criteri interni e a riconoscere e discriminare le proprie emozioni; attraverso una terapia di questo tipo hanno l’opportunità di imparare a dare un nome ai propri stati interni ed utilizzarli come parametro per costruirsi un’immagine stabile di sé e dei confini propri e attribuirsi il giusto valore senza più il bisogno profondo di usare gli altri come fossero specchi dentro cui guardarsi.
Dott.ssa Elisa Morosi, Psicologa di Centro Cognitivo Saronno