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Finalmente azioni concrete contro i formatori di Counselor

Finalmente azioni concrete contro i formatori di Counselor

Non tutti sanno che alcune scuole di specializzazione in psicoterapia, fondate e gestite da illustri psicologi, contribuiscono a diffondere la pratica dell’abuso della professione di psicologo, di cui abbiamo avuto casi recenti anche nella zona di Saronno. Questo avviene creando corsi di “counseling”, pratica professionale dietro cui è ormai a tutti noto vengono commessi molti abusi della professione di psicologo. Finalmente però l’ordine degli psicologi ha iniziato azioni concrete per reprimere questo pericoloso fenomeno e i risultati iniziano ad arrivare.

E’ il caso di Zerbetto & Co (ossia una parte del gruppo docente della scuola C.S.T.G.), che proprio ai corsi di counseling aperti a tutti non ci volevano rinunciare, dati i lucrosi guadagni derivanti dalle rette.

Salvo che il giudice di primo grado, invece di salvare gli interessi personali dei ricorrenti è entrato nel merito della questione e ha ragionato di diritto alla salute, della fede pubblica, della funzione di garanzia dell’interesse collettivo che ha la legge istitutiva della professione di Psicologo, concludendo, con una precisione e una chiarezza senza precedenti: “… poiché l’art. 1.1 della legge 56/89 stabilisce che ‘la professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento…’ l’insegnamento dell’uso degli strumenti a persone estranee equivale in tutto e per tutto a facilitare l’esercizio abusivo della professione, ciò che la legge e il codice deontologico tutelano direttamente, prescrivendo comportamenti attivi per impedirlo.” (qui l’articolo sulla prima sentenza).

Quindi, secondo il giudice, si ha addirittura l’obbligo di agire contro questo scempio della fiducia pubblica costituito dai corsi di counseling aperti a tutti, corsi che aggirano gli obblighi di legge per la formazione di chi vorrebbe effettuare un intervento che è Psicologico eccome, comunque lo si chiami.

A quel punto, Zerbetto e Co, anziché ritirarsi di buon grado hanno deciso di fare ricorso, con l’arroganza di chi pretende di avere ragione anche di fronte a tanta chiarezza.

Pochi, anche tra i ricorrenti di primo grado, hanno osato seguirli: l’impresa era disperata.

Il giudice di secondo grado, in Corte d’Appello, non è neppure entrato nel merito, accogliendo l’eccezione riguardante la “legittimazione attiva”, che è un pò come dire: ma che vuoi? Nessun diritto è stato violato, il Codice Deontologico è sempre lì ed è sempre valido. Se non lo vuoi seguire, padronissimo, come lo sei di passare al semaforo rosso: lo fai, ma se ti pizzicano ti becchi la sacrosanta sanzione che ti meriti e te ne stai muto.

I temerari ricorrenti, infatti, sono stati condannati a spese legali che superano i 17.000 euro (e sono solo quelle della difesa).

E, come non bastasse, quasi in contemporanea ecco il secondo colpo di mazza: qualche giorno fa è comparsa in Parlamento una interrogazione parlamentare che pone (finalmente) la questione di cosa sia il Counseling se non Psicologia

Il limite scritto nell’art. 21 del Codice Deontologico – oggi è ancora più chiaro – è a salvaguardia non tanto degli Psicologi ma soprattutto di quel valore superiore che è la salute pubblica ed è ora di finirla di svendere questo valore in cambio di qualche iscritto ad un corso in cui si banalizza e si contrabbanda la Consulenza Psicologica chiamandola con un nomignolo inglese.

Dott. Michele Rossi

Fonte: AltraPsicologia  www.altrapsicologia.it